Prevenzione e riutilizzo, l’Europa fa il punto
Redazionale
A febbraio l’Ufficio Europeo Ambiente ha diffuso un rapporto intitolato “Progress towards preventing waste in Europe — the case of textile waste prevention” (se vuoi leggere la versione integrale scarica il pdf a questo link: https://www.eea.europa.eu/publications/progressing-towards-waste-prevention-in) . Nonostante il focus sia evidentemente sulla frazione tessile, circa metà del rapporto è dedicato al tema della prevenzione in generale.
Viene fatta, innanzitutto, una disamina dei sistemi di misurazione utilizzati dai paesi membri per rendicontare lo stato della prevenzione nei loro territori e un’analisi sommaria delle politiche messe in atto per favorirla. Gli autori dello studio prendono atto della grande eterogeneità di sistemi adottati e della vaghezza delle definizioni e dichiarano che l’Unione Europea sta studiando forme per omogeneizzare interpretazione dei dati e forme di rendicontazione. In altre parole, ancora non esiste un metodo univoco ed affidabile per dichiarare quanta prevenzione viene fatta in Europa.
Tra le politiche più significative adottate dai singoli Stati ci sono la promozione di centri di riuso e mercati dell’usato per frazioni specifiche, le campagne di sensibilizzazione ai consumatori, la costruzione di network di riutilizzatori, l’implementazione di meccanismi per facilitare l’incontro tra domanda e offerta, campagne per incoraggiare il riuso, misure di agevolazione fiscale al riuso e linee guida per i pubblici acquisti, ma nessuno degli esempi menzionati riguarda l’Italia, che viene citata solamente per il fatto (dovuto) di aver incluso la gerarchia nei suoi piani di gestione dei rifiuti, di aver implementato programmi di educazione ambientale e di avere una legge contro lo spreco alimentare.
In sintesi, all’Italia vengono riconosciuti alcuni passi formali ma nessuna iniziativa concreta di rilievo. A essere citate, a più riprese, sono invece le iniziative concrete implementate in Francia, Austria, Svezia, Finlandia, Olanda, Belgio, Spagna, Portogallo, Germania e anche in paesi per certi versi meno sviluppati del nostro come la Bulgaria, l’Ungheria, la Polonia e la Romania. L’esempio delle Fiandre Belga, ancora una volta, viene presentato come eccellenza per la sua capacità di rendicontare e sistematizzare le sue performance. Il settore del riutilizzo italiano, invece, non viene neanche menzionato nonostante il Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2021 segnali che le sue performance di riutilizzo sono quantitativamente superiori a quelle delle Fiandre. Ma il fatto che l’Europa non ne prenda atto è normale, perché è lo Stato italiano il primo a non prenderne atto.
Per quanto riguarda la prevenzione del tessile, lo studio fa una panoramica di dati e studi significativi riguardanti il flusso di rifiuti e il mercato, enfatizzando il ruolo ascendente dell’online e sottovalutando, forse, l’importanza delle filiere commerciali che attualmente garantiscono il riutilizzo degli indumenti. La normativa REACH sulla proibizione di un’ampia lista di fibre tessili è menzionata senza alcun accenno al fatto che, se applicata così come è, potrebbe rendere impossibile riutilizzo e preparazione per il riutilizzo dei tessili (perché in fase di selezione gli operatori difficilmente possono analizzare capo per capo e fibra per fibra, mentre nella produzione seriale del nuovo la rendicontazione delle fibre è semplice ed automatica).
In quanto alle politiche di prevenzione in essere, lo studio menziona 31 esempi di politiche adottate dagli Stati Membri in diversi ambiti, e anche in questo caso l’Italia non è mai citata.
Nelle conclusioni gli autori dello studio caldeggiano l’adozione, a livello europeo, delle seguenti politiche:
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Incentivi regolatori mirati all’implementazione di standard di durevolezza dei beni, requisiti di circolarità nella loro progettazione così come nella gestione dell’invenduto;
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Regole più stringenti riguardanti gli elementi chimici mediante i quali le industrie incrementeranno la longevità dei loro prodotti tessili;
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Ricerca e innovazione per lo sviluppo di tessili che siano durevoli e circolari e per l’introduzione di tecnologie innovative (ad esempio il passaporto digitale per gli indumenti);
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Collaborazione e piattaforme di intercambio tra gli stakeholder chiave di tutta la filiera;
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Sviluppo tecno-infrastrutturale sia per i business collaborativi che per quelli a ciclo chiuso;
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Campagne di sensibilizzazione rivolte ai produttori sulla necessità di realizzare prodotti durevoli, riusabili e riutilizzabili;
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Schemi di responsabilità estesa del produttore, possibilmente armonizzati a livello europeo e riguardanti l’intero ciclo di vita del prodotto a partire dalla produzione;
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Incentivi economici ai consumatori per l’accesso a servizi di riparazione; acquisti pubblici verdi;
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Etichette sui vestiti e programmi di certificazione che garantiscano il livello di durevolezza del prodotto;
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Informazione ai consumatori sugli impatti ambientali dei prodotti, in base a sistemi armonizzati a livello europeo;
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Cooperazione tra paesi per il raggiungimento di metodologie e formati comuni per rendicontare la raccolta di rifiuti tessili e le attività di riutilizzo.