Abiti usati: la responsabilità etica passa ai produttori
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Abiti usati: la responsabilità etica passa ai produttori

Martedì 25 Gennaio 2022

Francesco Gesualdi, Pietro Luppi

Numerosi servizi giornalistici e numerose inchieste giudiziarie hanno documentato che la filiera degli abiti usati è particolarmente appetibile per la criminalità organizzata che sfrutta la facile alterazione degli aspetti quantitativi e qualitativi del materiale raccolto per arricchirsi illegalmente.

abiti-usati

Le strategie più ricorrenti sono la falsificazione dei volumi trattati, l'emissione di fatture contraffatte, la mancata selezione e lo smaltimento clandestino delle frazioni di vestiario non recuperabile. Fino a qualche tempo fa le pratiche illegali comprendevano anche lo smaltimento degli scarti tramite fuochi a cielo aperto. Ma da quando in quest'ambito i controlli si sono fatti più serrati stiamo assistendo all'emergere di altre modalità di smaltimento illegale, compresa l'esportazione clandestina di indumenti-rifiuto verso paesi del Sud del mondo. Recentemente in Cile sono state scoperte vaste discariche abusive di vestiario proveniente da paesi del Nord del mondo, Italia compresa.

L'esportazione di rifiuti tessili è soggetta a limiti e a regole che spesso sono aggirate inserendo abusivamente quote di rifiuti in container che ufficialmente sono carichi di materiale destinato alla rivendita. Nella "relazione su aspetti critici e fenomeni illeciti nel traffico transfrontaliero di rifiuti" elaborata nel 2018 dalla Commissione Parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, si legge che nel 2016 Guardia di Finanza ha sequestrato 72 tonnellate di rifiuti tessili destinati all'esportazione illegale.

Ed è solo la punta dell'iceberg.

È ormai universalmente riconosciuto che la camorra riesce a infiltrare la filiera degli abiti usati anche per l'omertà degli attori ufficiali della filiera che per evitare "grane" girano la testa dall'altra parte quando non si trasformano in veri e propri complici. Non a caso quando Utilitalia ha deciso di elaborare le linee guida per l'assegnazione del servizio di raccolta di indumenti usati, ha individuato nella trasparenza un principio guida fondamentale per ridare etica alla filiera:

"La stazione appaltante (comune o chi per lui) deve poter acquisire le necessarie garanzie che i flussi di rifiuti (abiti usati) raccolti nel proprio territorio siano trattati in impianti idonei dal punto di vista tecnologico e autorizzativo, e completamente tracciati lungo le varie fasi della filiera. Da tale tracciabilità deve poter emergere con assoluta certezza che detti flussi abbiano trovato adeguata destinazione e valorizzazione nel rispetto dei principi della gerarchia europea."

E continua "A tal fine è importante prevedere nel contratto l'impegno dell'appaltatore a predisporre con cadenza almeno annuale un report che, sulla base dei rifiuti raccolti, informi sulle percentuali delle diverse destinazioni:

  1. preparazione per il riutilizzo e cessione (distinti in "solidale" o "profit", specificando quanto avvenuto in Italia o all'estero);
  2. riciclo (specificando quanto avvenuto in Italia o all'estero);
  3. recupero di altro tipo (specificando quanto avvenuto in Italia o all'estero);
  4. smaltimento (specificando quanto avvenuto in Italia o all'estero).

Sembra perfino banale dirlo, ma la segretezza è il terreno fertile della criminalità. Quando i fatti avvengono nelle tenebre, senza obbligo di rendicontazione, al riparo di qualsiasi verifica, è allora che possono formarsi atteggiamenti deviati: truffe, abusi, prepotenze, corruzione, violazioni. Non a caso la trasparenza è uno dei princìpi cardine della democrazia, una strategia basilare di qualsiasi tentativo di ripristino della legalità. Quando si è costretti a dimostrare, documenti alla mano, come ci si comporta, con chi si hanno rapporti, la provenienza dei soldi, il loro utilizzo, le probabilità di violazione della legge si fanno sempre più scarse. Si può dire che il sotterfugio è inversamente proporzionale al grado di trasparenza.

Paradossalmente se ogni capo di vestiario buttato in un cassonetto potesse essere tracciato, potremmo sapere se ha seguito l'iter igienico previsto dalla legge o se è stato messo in vendita senza alcun trattamento. Potremmo sapere se è stato sottoposto a cernita in uno stabilimento legale o clandestino, sia esso italiano o straniero. Uno stabilimento che rispetta i diritti dei lavoratori o li viola, che paga le tasse o le evade, che appartiene a proprietari affidabili o in odore di camorra. Potremmo sapere se è stato messo in vendita da un ambulante legale in una piazza italiana o straniera oppure se è finito nei circuiti capestro d'Africa, Asia o dell'Italia stessa. Potremmo sapere se il materiale scartato è stato smaltito secondo i criteri di legge o se è finito in una discarica abusiva. Ovviamente la tracciabilità di ogni singolo capo è impossibile, ma l'obbligo, per chi raccoglie, di rendicontare le tappe principali seguite dal materiale che ha raccolto, sarà un contributo importante contro la criminalità a difesa della legalità, dei diritti e dell'ambiente.




Ora tutto questo andrebbe garantito alla luce delle novità di legge che introducono nel sistema di recupero degli indumenti usati chiamando in causa nuovi soggetti: nel concreto, le imprese che producono vestiario nuovo e lo immettono sul mercato dovranno farsi carico finanziariamente e organizzativamente del recupero dei loro prodotti nella fase post-consumo in virtù del principio della "responsabilità estesa del produttore".

Ciò libererà stazioni appaltanti tradizionali dai controlli sulla filiera dato che esse, nei fatti, si limiteranno a raccogliere una parte del flusso dei rifiuti tessili urbani per poi consegnarlo ai soggetti designati dai consorzi dei produttori, mentre altre parti del flusso, con ogni probabilità, saranno direttamente raccolte dai soggetti coinvolti dai produttori mediante sistemi di "reverse logistic"; questi ultimi vengono già applicati con gli elettrodomestici e hanno come punto di partenza la restituzione dei beni post-consumo direttamente nei negozi dove avviene la vendita al dettaglio.

In questo nuovo scenario dovranno essere i produttori ad adottare ed applicare strumenti di controllo e tracciabilità. Per elaborarli potranno sicuramente ispirarsi alle Linee Guida predisposte da Utilia per i Comuni e le Aziende di Igiene Urbana, ma è importante che i nuovi provvedimenti tengano conto dell'evoluzione dei comportamenti illeciti sopravvenuta nell'ultimo periodo; in particolare sarà indispensabile porre grande attenzione sulla qualità degli stock di abiti usati destinati all'esportazione per impedire che le frazioni da smaltire vengano aggregate a quelle di cui viene dichiarato il recupero.

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