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L’Osservatorio RAEE stigmatizza il riuso informale

Venerdì 12 Settembre 2025

Dove vanno a finire le nostre apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) quando decidiamo di disfarcene? E quali strade prendono una volta che ce ne siamo disfatti?

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L'Osservatorio Ipsos sui RAEE (acronimo usato per indicare i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche) ha pubblicato a luglio 2025 la sua ultima ricerca sul comportamento degli italiani in relazione alla raccolta differenziata di questa specifica categoria di rifiuti, nella quale rientrano elettrodomestici, televisori, pc e laptop, telefoni cellulari, giocattoli a batteria, spazzolini elettrici e molto altro. L’ente di ricerca, che opera per conto del più grande organismo collettivo italiano di produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche, parte dalla premessa che meno del 40% dei RAEE, in Italia, sono avviati a filiere di recupero dei rifiuti tracciate, trasparenti e pienamente sostenibili, ovvero le filiere organizzate dai produttori nel quadro del regime di Responsabilità Estesa del Produttore. Una carenza che è stata notata dall’Europa, che nel 2024 ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia per non aver raggiunto gli obiettivi comunitari di recupero dei RAEE.

Gran parte del problema è l’inadeguata classificazione dei rifiuti conferiti ai sistemi di raccolta comunali, che anziché cedere i rifiuti alle organizzazioni dei produttori scelgono spesso operatori che valorizzano il ferro e si disfanno delle altre materie, applicando discutibili standard ambientali. Ma l’Osservatorio punta il dito anche contro un altro fenomeno: le deviazioni alle cosiddette filiereinformali”, che avvengono a monte delle raccolte comunali.

L’Osservatorio riferisce che “più di un cittadino su quattro ha fatto ricorso a svuotacantine non autorizzati nell’ultimo anno mentre il 29% degli intervistati è stato avvicinato da soggetti non autorizzati presso i centri di raccolta”.

“Il fenomeno è bollato dall’Osservatorio come un comportamento non virtuoso, che va assolutamente contrastato”, osserva il patron di Leotron Alessandro Giuliani. “Non si tiene però conto di un fatto fondamentale: gli svuotacantine, così come i soggetti vulnerabili che si avvicinano ai cittadini presso i centri di raccolta, intercettano le apparecchiature usate per destinarle al Riutilizzo, e il loro lavoro, oggi, rappresenta una buona fetta del risultato italiano di Riutilizzo, che ammonta annualmente a circa mezzo milione di tonnellate. Di questo totale, come rilevato dall’Università St Andrews, circa 55.000 tonnellate sono riutilizzate dai soggetti informali menzionati dall’Osservatorio RAEE, mentre altre 63.000 tonnellate, come stimato da ISPRA, sono riutilizzate dai negozi dell’usato conto terzi. In realtà questi due flussi di riutilizzo sono in parte sovrapposti, perché spesso svuotacantine e soggetti vulnerabili ricorrono ai negozi dell’usato conto terzi per vendere gli oggetti riutilizzabili che hanno raccolto”.




Il fenomeno dell’informalità è storicamente al centro delle istanze di Rete ONU, associazione di categoria italiana degli operatori della seconda mano. Nel corso degli ultimi 15 anni Rete ONU ha redatto numerose di proposte di legge per regolarizzare e integrare al sistema formale l’attività degli operatori vulnerabili, puntando all’emersione attraverso la tracciabilità, l’iscrizione ad albi professionali ed accordi operativi con i Comuni che consentano di conferire in modo corretto il residuo non riutilizzabile raccolto presso le utenze domestiche. Nel 2012 Rete ONU aveva anche avviato una sperimentazione con Utilitalia, associazione di categoria delle aziende di igiene urbana, con l’obiettivo di regolarizzare e coinvolgere nel sistema questi operatori, riconoscendo e valorizzando la loro attività di riutilizzo, e sulla stessa logica è stato disegnato il “Modello Contarina-Occhio del Riciclone” finalizzato a massimizzare i livelli di riutilizzo territoriali.

“Ognuno di questi percorsi è però morto in partenza per l’indisponibilità degli stakeholder formali ed istituzionali ad applicare i principi nella pratica”, riferisce Giuliani. “A oggi né gli organismi dei produttori né i Comuni portano avanti o promuovono significative attività di riutilizzo”.

Le parole di Alessandro Stillo, Portavoce Nazionale di Rete ONU, sono molto dure. "Purtroppo il Riutilizzo, nonostante sia in cima alla gerarchia dei rifiuti dettata dalla norma europea e nazionale, e nonostante sia continuamente citato nelle norme secondarie, nei piani di gestione dei rifiuti così come nei decreti ministeriali, continua ad essere ignorato o bistrattato nella realtà dei fatti. Non solo quando si elaborano i modelli e si programmano le operazioni, ma addirittura quando si compiono le analisi del contesto specifico. Oggi il Riutilizzo avviene in buona parte in modo informale, e questo è il frutto di un'evoluzione normativa che negli ultimi venticinque anni non ha tenuto in alcun conto la nostra realtà settoriale. Eppure, da quindici anni, Rete ONU promuove soluzioni di regolarizzazione, e in alcuni casi queste sono diventate proposte di legge. L'inefficienza della macchina legislativa ha però reso impossibile la conclusione degli iter, e chi fa Riutilizzo continua a doverlo fare in un quadro di regole inappropriato che fomenta l'illegalità invece di risolverla".

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