Il diritto alla riparazione favorisce il PAAS
Alessandro Giuliani
Il diritto alla riparazione sta per diventare realtà operativa. Con la Direttiva europea 2024/1799, entrata in vigore nell’estate 2024 e da recepire entro luglio 2026, l’Europa ha deciso di andare oltre la semplice garanzia legale per intervenire anche nel momento in cui un prodotto si guasta dopo i due anni coperti dal venditore. È un cambio di paradigma che promette sostenibilità e tutela del consumatore, ma che potrebbe ridisegnare, in profondità, il mercato della riparazione e quello del riuso, fino a oggi dominati dalla dimensione artigianale e micro-imprenditoriale. A quanto pare, l'Italia potrebbe recepire la Direttiva prima della scadenza prevista: il Consiglio dei Ministri ha approvato il 22 luglio un disegno di legge dove chiede di poter intervenire su questo fronte con provvedimenti normativi diretti. Se il Parlamento darà il suo consenso, è possibile che un Decreto legislativo venga emanato molto presto.
Attualmente, in Italia, il diritto alla riparazione ruota attorno al regime di garanzia legale del prodotto stabilito dal Codice del Consumo, che in caso di difetti di conformità del prodotto manifestatisi entro due anni dall’acquisto, obbliga il venditore a offrire gratuitamente riparazione e sostituzione lasciando scegliere al consumatore quale di questi rimedi adottare. Con il nuovo quadro, invece, entra in scena il fabbricante, che, fuori dal perimetro della garanzia legale, diventa direttamente obbligato a riparare una serie estesa di prodotti: elettrodomestici, smartphone, display elettronici, aspirapolveri, telefoni cordless. Il fabbricante deve offrire il servizio di riparazione gratuitamente oppure a prezzi “ragionevoli”.
L’eccessiva onerosità dell’intervento di riparazione non può essere motivo per rifiutare il servizio. L’unica ragione di rifiuto è l’eventuale impossibilità tecnica della riparazione, e in questi casi il fabbricante può offrire al consumatore, come alternativa, un prodotto ricondizionato.
La Direttiva mira anche a rimuovere molti degli ostacoli che negli anni hanno scoraggiato la riparazione: ricambi troppo costosi, software che limitano gli interventi, manuali tecnici inaccessibili. Ora i produttori dovranno fornire parti e strumenti senza imporre barriere: non potranno impedire l’uso di ricambi compatibili o recuperati, né rifiutarsi di riparare perché il prodotto è già passato in mano a un tecnico indipendente. Per i consumatori, è prevista anche una piattaforma online per trovare riparatori e beni ricondizionati.
Ma la questione cruciale a mio avviso è un’altra: la Direttiva potrebbe diventare il vero catalizzatore della diffusione del modello Paas (Product as a Service). Oggi il Paas, dove il cliente non compra un prodotto ma paga per il suo utilizzo e per il servizio associato, non riesce a decollare perché richiede ai produttori una gestione complessa dell’intero ciclo di vita del bene, con reiterati costi di dialogo e negoziazione con gli utenti/consumatori e oneri logistici da applicare a ogni intervento di riparazione o sostituzione. Con gli obblighi imposti dalla nuova Direttiva, però, questi costi dovranno comunque essere sostenuti, e i produttori potrebbero trovare più conveniente mantenere il controllo sui prodotti e trasformare la vendita in servizio. Oltretutto, il Regolamento Europeo Ecodesign, anch’esso in vigore dal 2024, impone ai produttori progettazioni eco-compatibili che conferiscano ai prodotti durabilità, riparabilità e riutilizzabilità, aggregando anche in questo caso costi che in ottica Paas sono più coerenti e giustificabili (continuando a essere proprietario del prodotto, il fabbricante diventa interessato a prolungarne al massimo la durata di vita).
Per gli operatori dell’usato questo scenario non è privo di rischi. Se ingenti quantità di prodotti resteranno di proprietà dei fabbricanti dopo il primo ciclo di consumo, il mercato della seconda mano potrebbe restringersi, e gli operatori che vorranno rimanere in sella e continuare a lavorare con successo dovranno mettere in campo nuove proposte di valore, nuovi modelli e forse nuove nicchie. Ma per chi fa impresa, in fondo, questa è la normalità: leggere i cambiamenti, adattarsi, cambiare pelle quando serve. Senza aver timore della propria dimensione di microimpresa, perché facendo rete anche le trasformazioni più difficili diventano affrontabili.
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