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Riuso e riciclo tessile, l'UE si esprime di nuovo

Giovedì 15 Giugno 2023

Valentina Rossi - Rete NICE

La Commissione Europea ha recentemente pubblicato il report “Transition pathway for the Textiles Ecosystem”: un documento che non rappresenta in sé stesso una posizione ufficiale dell’Unione Europea ma che, ovviamente, avrà una forte influenza sulle future politiche del settore tessile. Quest’ultimo è ormai visto come un tutt’uno, dove le sfide della produzione industriale, quelle del commercio internazionale e della distribuzione e poi successivamente quelle del fine vita e del recupero, sono oggetto di una strategia unica ed integrata. Il settore, come dice il titolo del report, è concepito come un ecosistema. Il documento è in gran parte una rassegna di concetti e linee d’azione già presentati negli ultimi 2 anni nelle strategie e orientamenti europei sul tessile e l’economia circolare: non sarebbe quindi interessante tornare a sviscerare uno per uno contenuti che sono già stati abbondantemente assimilati (anche se solo in parte digeriti!) da tutti gli operatori del settore. E’ assolutamente noto che normativa e indirizzi europei puntano a processi produttivi orientati a una maggiore durevolezza, riutilizzabilità, riparabilità e riciclabilità, che gli obiettivi di recupero dei rifiuti sono del 55% entro il 2025 e del 65% entro il 2035, che in tutta Europa vigerà l’obbligo di raccolta differenziata del rifiuto tessile a partire dal 2025 (in Italia lo è già dal 2022), che verranno introdotti regimi di responsabilità estesa del produttore, che le priorità sono il riutilizzo, la preparazione per il riutilizzo e in subordine il riciclo, che verranno introdotti strumenti, anche digitali, per aumentare la tracciabilità del rifiuto tessile e che si guarda con preoccupazione alle fililere extraeuropee che ricevono il tessile raccolto in Europa.

transizione-del-tessile

Nell’analizzare questo nuovo report ci concentreremo quindi solo sugli aspetti che ci sembrano più rilevanti perché aggiungono qualcosa di nuovo oppure perché mettono maggiore enfasi, o nuova luce, su argomenti già trattati. Il report presenta un pacchetto di ben 50 azioni finalizzate alla costruzione dell’economia circolare del tessile, che spaziano dalla governance alla costruzione dei know how, dai programmi di finanziamento per l’innovazione a quelli per la promozione di un consumo consapevole .

Nella prima parte del report, dedicata ai temi della sostenibilità e competitività del tessile europeo, la Commissione pone molta enfasi sulla maggiore concorrenzialità in termini di prezzo dei prodotti provenienti da paesi che hanno standard ambientali e sociali inferiori a quelli europei, e si auspica l’esercizio di un’“influenza positiva” su questi paesi mediante trattati di commercio (FTA – Free Trade Agreements) e altri strumenti (come “SWITCH”); si tratta, in sostanza, di offrire benefici e canali di mercato in cambio di un innalzamento degli standard. Il ragionamento non è esteso alle filiere extraeuropee del recupero, del riutilizzo e del riciclo, ma se lo stesso principio fosse mantenuto anche su quel fronte, si tratterebbe di una risposta concreta a chi segnala che inviare scarti tessili a quel tipo di filiere è rischioso e, soprattutto, disinnischerebbe alle radice le argomentazioni di chi invoca un’abolizione de facto del riutilizzo, dato che esso trova mercato maggioritariamente fuori dall’Europa, promuovendo alternative dall’alto impatto ambientale come il riciclo chimico. Il report europeo sottolinea poi la necessità di innalzare lo standard sociale dell’economia del tessile sostenendo le imprese sociali attive nelle attività di riuso, riparazione, selezione e riciclo, come d’altronde già stabilito nel recentemente pubblicato “Social Economy Action Plan”. Più avanti nel documento si afferma, senza particolari pezze d’appoggio, che il settore del riuso è il più attivo nelle raccolte dei rifiuti tessili ed è dominato dalle imprese sociali. Questo specifico punto, per chiunque conosca il settore di cui stiamo parlando, non può che essere fonte di estrema perplessità. In inglese il verbo utilizzato è dominate, che può voler indicare una prevalenza di mercato oppure un esercizio di potere. Se l’accezione di chi ha scritto il report voleva essere la prima, ossia quella riferita a una prevalenza sul mercato, ci troviamo di fronte a un’affermazione palesemente falsa: né in Europa né tantomeno in Italia l’economia sociale è prevalente nelle filiere e nei mercati del riutilizzo e recupero dei tessili. Non solo non è prevalente, ma in molti paesi (tra i quali in Italia) non ha neanche quote di mercato quantitativamente rilevanti. L’economia sociale ha invece una quota molto rilevante nell’offrire servizi di raccolta ai Comuni. Le imprese sociali non riutilizzano ne compiono altre operazioni di recupero e reimmessa in circolazione: normalmente si limitano a raccogliere e vendono i tessili usati a imprese private che si dedicano alla selezione e che avviano le frazioni recuperabili a canali nazionali ed esteri del riutilizzo (imprese private della vendita all’ingrosso e micro-imprese private del retail) o a quelli del riciclo (imprese private che si dedicano alla classificazione e preparazione delle materie secondarie che poi tornano nel ciclo produttivo). Se invece l’accezione degli autori del report voleva essere la seconda, ossia riferita a un esercizio di potere, purtroppo ci avviciniamo maggiormente alla realtà. Le imprese sociali, forti della loro immagine ma soprattutto della loro capacità di influenza su pubbliche amministrazioni ed istituzioni pubbliche, in certi ambiti riescono effettivamente a dominare la situazione promuovendo iniziative normative che le favoriscano sul mercato a scapito di tutti gli altri operatori. In molti si diranno: “che c’è di male? In fondo queste realtà producono risultati sociali!” Questo è sicuramente vero, ma è vero allo stesso modo, e a volte anche di più, per tutte le imprese che senza alcuna veste formale “non profit” finanziano e rendicontano progetti sociali grazie ai ricavi del riutilizzo e recupero dei tessili. Nel report della Commissione non si parla di promuovere risultati sociali ma di promuovere soggetti dell’economia sociale. Si punta sul “chi” e non sul “cosa”. Ma più che promuovere un soggetto particolare del mercato, qualunque sia il suo volto pubblico e formale, sarebbe molto più sano concentrarsi sul concreto delle attività sociali che vengono effettivamente svolte, mettendo anche, perché no, i vari soggetti in concorrenza tra di loro premiando quelli che producono risultati sociali qualitativamente e quantitativamente più rilevanti.




Un altro punto, già menzionato in altri documenti europei di indirizzo e qui reiterato in forma più decisa, è quello del PaaS (“product as a service”), traducibile in italiano con “servitizzazione”. La tesi, molto interessante, è che le imprese produttrici saranno interessate a produrre beni più durevoli e maggiormente riparabili e riutilizzabili solo se, anziché cederne la proprietà ai consumatori, li offriranno loro in affitto. Una grande rivoluzione del commercio e del consumo dove l’eventuale partecipazione degli attuali operatori dell’usato e del recupero, attualmente proprietari delle merci di risulta, virerebbe su un concetto di servizio verso le imprese produttrici che gestiscono le filiere. Un panorama che per gli operatori è senza alcun dubbio stimolante e pieno di prospettive, ma sempre e quando si preservi il libero mercato! Nel report della Commissione, ahimé, anche per il fronte PaaS si parla apertamente di favorire le imprese dell’economia sociale, alle quali viene messo in relazione il concetto innovativo di “servizi di riuso e riparazione”.




Se da un lato non resta che prendere atto che la Commissione riafferma e rafforza le sue proposte di restringimento del mercato in favore di soggetti particolari che, in nome delle loro finalità di utilità collettiva, intendono beneficiarsi del processo di evoluzione normativa per assumere una maggiore rilevanza sul mercato, dall’altro lato è interessante notare che, diversamente da altri documenti di indirizzo, quest’ultimo report affronta in modo diretto la questione delle piccole e medie imprese (SMEs) che operano nel settore tessile, le quali potrebbero trovarsi in svantaggio nel percorso di transizione. Gli elementi di svantaggio riguardano gli investimenti per le infrastrutture, l’acquisizione di nuovi know how, il divario digitale a altri aspetti ancora; pertanto la Commissione raccomanda di privilegiare le SMEs in un ampio pacchetto di programmi di finanziamento. Anche in questo caso, come in quello delle filiere extraeuropee, non si fa esplicito riferimento alle imprese dei settori del recupero e del riutilizzo: ma anche queste ultime fanno parte dell' ecosistema tessile e anch’esse quando le loro dimensioni non sono grandi avrebbero bisogno di essere protette ed accompagnate nella transizione ai nuovi scenari. A oggi, invece, le SMEs del riutilizzo e del recupero non solo sono svantaggiate a causa delle barriere d’accesso (investimenti e altro) insite nella transizione, ma rischiano anche di essere penalizzate sul mercato a causa dei privilegi che la Commissione sembra voler concedere a soggetti particolari...

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