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Prevenzione VS Cherry Picking

Venerdì 29 Luglio 2022

Sandra Garay

Pochi mesi dopo la pubblicazione della direttiva europea 2008/98/CE, che finalmente definiva i concetti di “riutilizzo” e “preparazione per il riutilizzo” dando loro un’assoluta priorità nella gerarchia dei rifiuti, i legislatori italiani avevano prodotto una sensatissima norma finalizzata alla “valorizzazione ecologica dei mercati dell’usato”. L’articolo 7 sexies della legge 13 del 27 febbraio 2009 fissa criteri e obiettivi di concertazione per fare in modo che i mercati dell’usato esprimano il massimo del loro risultato ambientale. Un approccio logico, basato sull’indicazione europea di rafforzare innanzitutto le reti di riutilizzo esistenti. Nel 2013, seguendo la stessa linea, il Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti esponeva con chiarezza questi concetti:

Il riutilizzo nelle sue diverse forme ricopre un ruolo fondamentale e rientra a pieno nel campo della prevenzione [...] Per incrementare i volumi di riutilizzo occorre pianificare azioni che rimuovano o contribuiscano a rimuovere gli ostacoli che inibiscono lo sviluppo del settore dell’usato. Oltre al problema logistico e strutturale rappresentato dall’assenza di flussi certi di approvvigionamento, l’usato soffre di gravi problemi legati a sommersione, fiscalità e concessione di spazio pubblico. Problemi ed esigenze del settore degli operatori dell’usato sono descritti nella piattaforma della Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato.

prevenzione

Nelle legislature XVII e XVIII, sempre in base allo stesso approccio, sono state presentate ben 8 proposte di legge finalizzate alla promozione e al riordino del settore dell’usato e quattro di esse, nell’ultima legislatura, sono anche state incardinate. Ma sia legge 13 del 2009 che il Programma Nazionale dei Rifiuti sono rimasti lettera morta, e l’iter parlamentare delle proposte di legge incardinate nell’ultima legislatura si è improvvisamente interrotto nel 2019 e, nonostante i continui appelli dei rappresentanti del settore, non è mai più stato riavviato.




Parallelamente, e seguendo una logica diametralmente opposta, il Ministero dell’Ambiente, poi diventato della Transizione Ecologica, ha lavorato all’ipotesi di promuovere il riutilizzo non basandosi sulle reti già esistenti ma puntando piuttosto sullo sviluppo di “Centri di Riuso” da posizionare presso i Centri di raccolta comunali. Nati come escamotage per poter riutilizzare oggetti che, trattati come rifiuti, sarebbero stati inceneriti oppure macinati per il riciclo industriale, i “Centri di Riuso” sono sostanzialmente dei sistemi di “cherry picking” posizionati in uno degli snodi cruciali della logistica dei rifiuti urbani. Finora gestiti da associazioni o cooperative sociali selezionate dai Comuni e dalle aziende di igiene urbana, i “Centri di Riuso” si basano su un principio pericoloso, che stabilisce che ciò che è maggiormente valorizzabile possa essere arbitrariamente “pescato” dal flusso dei rifiuti da enti che non sono autorizzati a gestire i rifiuti e che utilizzano procedure e criteri totalmente estranei alla gestione dei rifiuti. Il rischio, ovviamente, è che si creino delle emorragie incontrollate che vanificheranno alla radice ogni tentativo di controllo ambientale. A questo rischio si aggiungono gli effetti nefasti sulla sostenibilità economica dei sistemi legittimi di recupero dei rifiuti.

Da due anni a questa parte di fatti, grazie al Dlgs 116/20, è finalmente possibile trattare e reimmettere in circolazione nei canali della seconda mano i rifiuti che possono essere riutilizzati. Questa opzione di trattamento dei rifiuti si chiama “preparazione per il riutilizzo” e, come dicevamo, è stata definita dalla direttiva 98/2008. Grazie alla preparazione per il riutilizzo è possibile gestire i prodotti post-consumo che meritano una seconda vita in maniera semplice ma controllata, così come deve essere fatto con tutti i prodotti post-consumo dei quali i cittadini vogliono o debbono disfarsi (tale intenzionalità riguarda senza alcun dubbio anche i beni riusabili trasportati dai cittadini presso i centri di raccolta comunali e pertanto li rende a tutti gli effetti rifiuti, al di là di ogni contorta escamotage normativa e concettuale).

Ma in Italia la preparazione per il riutilizzo rischia di nascere zoppa a causa del “cherry picking” dei Centri di Riuso: come potranno infatti sostenersi tali impianti se la frazione maggiormente valorizzabile viene sistematicamente scremata a monte? Un problema che il Ministero, anziché risolvere, si appresta ad accentuare. Nella Strategia Nazionale per l’Economia Circolare il MITE, partendo dal postulato (totalmente errato) che le reti del riutilizzo già esistenti siano prevalentemente “non profit”, “non strutturate” e “oggettivamente non in grado di raccogliere le nuove sfide”; in base a queste premesse prive di fondamento, il Ministero afferma che il Riutilizzo dovrebbe essere implementato direttamente dai Comuni e proprio a partire dal “cherry picking” dei Centri di Riuso e annuncia, addirittura, centinaia di milioni di euro di PNRR da destinare a questo obiettivo. Gli operatori del riutilizzo, scioccati, hanno diffuso un comunicato stampa che parla apertamente di condanna a morte del settore dell’usato.




In un suo articolo su economiacircolare.com (https://economiacircolare.com/strategia-economia-circolare-alessandro-giuliani-rete-onu-usato) Alessandro Giuliani, il portavoce della Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato, ha esplicitato un concetto che tecnicamente dovrebbe essere scontato ma che data la situazione è urgente ribadire: “se parliamo di prevenzione, dovremmo parlare del flusso e delle logistiche proprie del settore dell’usato; se invece ci riferiamo alle logistiche dei rifiuti, l’unico strumento corretto ed efficace è la preparazione per il riutilizzo”.

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