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Il business della moda fast fashion

Martedì 29 Marzo 2022

Top a partire da 1,00 euro, shorts in jeans da 5,00 euro e spedizione gratuita per ordini superiori ai 19,00 euro. Il marchio cinese Shein, grazie ai suoi prezzi stracciati e al marketing aggressivo sui social media, ha raggiunto le vette del fast fashion diventandone il colosso indiscusso. Nel 2021 la sua app ha ottenuto più download di Amazon, il suo fatturato ha raggiunto i 15,7 miliardi di dollari e i suoi followers sono arrivati a 23,7 milioni solo sull’account Instagram ufficiale, senza contare tutti quelli aperti per ogni singolo Paese.

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Shein è stata fondata nel 2008 da Chris Xu, esperto di posizionamento di siti sui motori di ricerca, e la sua storia è stata ricca di cambiamenti durante la scalata al successo. Chiamata dapprima ZZKKO, l’azienda si occupava della produzione di abiti da sposa. Successivamente, Xu volle puntare in modo più ampio sull’abbigliamento femminile creando Sheinside e acquistando all’ingrosso capi a Guangzhou, noto centro per molti produttori di abbigliamento cinesi. Fu nel 2015 che il nome venne semplificato in Shein, per riuscire a sbaragliare la concorrenza attraverso un nome più facile da cercare online e, soprattutto, da ricordare.

Il suo punto di forza, studiato da realtà come la CNN, è sfruttare i social media per portare clienti all’interno del sito per l’acquisto online. La piattaforma prediletta sulla quale Shein mostra i propri capi attraverso haul video (registrazioni nelle quali le persone commentano i propri recenti acquisti) è TikTok, social media utilizzato soprattutto dai giovanissimi, ossia dalla Generazione Z. Il suo obiettivo è chiaro: intercettare un target che vuole sentirsi alla moda ma che ha pochi soldi da spendere. I clienti che iniziano ad acquistare vengono premiati con voucher e sconti da capogiro che li invogliano a tornare più e più volte sull’applicazione per acquistare e gli algoritmi fanno sì che non si dimentichino mai del marchio. Vendendo solo ed esclusivamente online, Shein riesce a rendersi conto di quali sono le tendenze dei consumatori, di cosa viene maggiormente venduto e di cosa deve essere tempestivamente riassortito per garantire sempre un certo quantitativo di capi disponibili. Pare che ogni giorno vengano caricati sul sito oltre 4.000 capi nuovi e questo induce i consumatori a visitare l’app quotidianamente. Tutto ciò è possibile poiché la merce viene venduta fresca di fabbrica grazie a una fitta rete di fornitori proprio nella città di Guangzhou, un sistema che elimina gli intermediari abbattendo i costi.




Se addirittura il 70% delle vendite viene concluso attraverso l’app di TikTok, viene da chiedersi quali siano le leve sfruttate dal brand per far breccia nei cuori dei giovanissimi. Gli haul video che parlano di fast fashion sui social media sono girati da micro-influencer a cui vengono inviati abiti gratis affinché li indossino e li recensiscano. La maggior parte dei contenuti condivisa dal marchio su Internet è, infatti, creata dagli utenti stessi. In questi video i ragazzi propongono outfit, lanciano mode, e forniscono codici sconto affinché i clienti crescano. Sul sito ufficiale è presente una sezione dedicata ai fashion blogger per diventare #SHEINgal, invitando gli influencer a sfoggiare i look sui social media. Insomma, è un meccanismo pensato per portare i consumatori ad acquistare sempre di più e con regolarità ora che, a seguito della pandemia, l’acquisto online è diventato la prassi.

Questo sistema ha lasciato basiti i suoi principali competitor, tra cui spiccano H&M e Zara, che cercano anch’essi di lanciare tendenze e vendere capi d’abbigliamento a prezzi bassi. Tuttavia, questi marchi hanno delle zavorre, in particolar modo i negozi fisici. Questo li porta a raggiungere un pubblico più ampio, ma anche un target diverso che ha più soldi da spendere. Ciò significa che, nonostante gli sforzi di H&M e Zara per accaparrarsi il pubblico online con offerta sempre più ampia e rapida di prodotti, Shein rimane in testa.

Ma cosa comporta realmente acquistare capi di fast fashion su Shein? Perché il suo è diventato, senza rischio di esagerare, un caso mondiale? La risposta arriva da un reportage realizzato dall’ONG Public Eye sulle condizioni di lavoro imposte da Shein. Nel villaggio di Nancun del distretto di Panyu, cosiddetto “Shein Village” dozzine di laboratori lavorano senza sosta a pochi metri l’uno dall’altro, producendo capi quasi esclusivamente per il brand cinese. I lavoratori si sobbarcano 75 ore di lavoro settimanali, 12 ore giornaliere in bassa stagione e 14 in alta stagione, contravvenendo al Codice di condotta dei fornitori per la ragionevole organizzazione del lavoro. Il diritto del lavoro cinese imporrebbe un massimo di 40 ore settimanali con un giorno di riposo alla settimana, mentre i lavoratori di Shein producono praticamente per 7 giorni alla settimana. Spesso sono i lavoratori stessi, donne e uomini immigrati, che richiedono di lavorare a orari impegnativi proprio per guadagnare il più possibile. Ma le condizioni inumane di lavoro non si fermano qui perché negli stabili lavorano centinaia di persone, in stanze con finestre sbarrate e ingombre di rotoli di tessuto e di borse ricolme di vestiti, le quali devono consegnare 100-200 pezzi in tempi strettissimi. C’è tuttavia un reddito minimo garantito per i lavoratori, che va da 4.000 yuan per il taglio a 7.000 yuan per la stiratura. Nonostante l’azienda dichiari di non sfruttare i dipendenti, e di utilizzare addirittura fibre riciclate nei capi, queste sembrano essere le condizioni effettive dei laboratori.

I prezzi bassi non sono l’unica tecnica che l’azienda sfrutta per affossare i produttori locali. Shein sfrutta anche un programma chiamato Large-scale Automated Test and Re-order (LATR) che sfrutta i big data. Con questo sistema riesce a vedere quali sono gli articoli maggiormente venduti, mettendosi quindi avanti con la produzione. A differenza di Zara che, ad esempio, richiede 2.000 pezzi nuovi al mese, Shein ne chiede in media 100 ma li vuole entro 10 giorni per mantenere regolare la produzione




Cosa possono fare i produttori se vogliono rimanere competitivi? Sicuramente puntare sulla qualità. Tra le molte recensioni presenti sull’e-commerce, alcune lamentano la scarsa qualità dei tessuti utilizzati per la produzione dei capi. Questa è da sempre la principale caratteristica che distingue la fast fashion dalla slow fashion e dal second hand. Altre lamentele riguardano poi la lentezza delle spedizioni, la difficoltà nei resi e l’impossibilità di comunicare con il servizio clienti. Inoltre, la mancanza di sedi fisiche impedisce il rapporto umano che molto spesso i clienti cercando nei brand. La qualità, la sicurezza e l’umanità sono quindi i punti di forza che possono impedire ai produttori locali di essere schiacciati dalla fast fashion.

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