Passato e futuro del riuso solidale (2)
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Passato e futuro del riuso solidale (2)

Martedì 26 Marzo 2024

Redazionale

Tutt’oggi molte Caritas locali ricevono dalle cooperative e imprese della raccolta e recupero degli abiti usati una percentuale dei loro ricavi. Ma come viene utilizzato questo denaro? Ne “La Rivincita dell’Usato” Alessandro Ruggieri, accademico ed ex volontario Caritas, spiega che “il bisogno di indumenti da parte degli indigenti è sovra rappresentato nell’opinione pubblica. Nel contesto italiano gli ignudi da vestire ormai sono veramente pochi, un abito su una bancarella dell’usato costa quanto un caffè e può durare anni. Il bisogno riguarda prevalentemente i senzatetto, che per fortuna sono pochi e si concentrano nei grandi centri urbani; per queste persone solo alcune tipologie di indumento sono effettivamente utili e c’è soprattutto necessita di biancheria intima nuova, coperte, sacchi a pelo, rifugi, pasti caldi, docce calde. La popolazione a basso reddito, più numerosa dei senzatetto, ha bisogno soprattutto di soldi per pagare affitto e bollette e di orientamento per accedere ai servizi sociali o per l’inserimento lavorativo.”

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“A volte”, si lamenta Ruggieri, “i mass media cavalcano le erronee concezioni dell’opinione pubblica per fare servizi dai toni scandalistici del tipo ‘i vestiti destinati ai poveri in realtà sono un business’, contribuendo a una generica stigmatizzazione della commercializzazione del vestiario usato, ma il principale motivo per cui gran parte degli indumenti donati non va ai poveri e che il bisogno della popolazione indigente non ha una scala sufficiente ad assorbire gli enormi volumi raccolti”.

Oggi, a quanto riferisce Utilitalia, circa il 70% dei contratti di affidamento della raccolta di abiti usati è stato firmato con Cooperative Sociali ONLUS. Queste ultime sono a volte legate a Caritas o ad altri enti caritatevoli del mondo cattolico, e a volte appartengono ad altri circuiti della società civile. Le “centrali” di riferimento delle cooperative sociali sono Confcooperative, Legacoop e AGCI, unitesi nel 2011 in un’unica grande associazione chiamata “Alleanza delle Cooperative” che consente loro di partecipare in modo unitario e con posizioni comuni ai più importanti tavoli di concertazione nazionali. Il gruppo di lavoro “filiera del rifiuto tessile” dell’Alleanza delle Cooperative è guidato da Carmine Guanci (noto esponente della cooperativa milanese Vesti Solidale, che è uno spin-off della Caritas Ambrosiana).

L’esistenza delle cooperative sociali è possibile grazie all’articolo 2520 del codice civile sulle “cooperative regolate da leggi speciali”, e sono regolate ai sensi della Legge 8 novembre 1991, n.381 (“legge 381”), la quale stabilisce che l’oggetto sociale di queste imprese possa essere di due tipi:

Le cooperative sociali dedite alla raccolta dei rifiuti tessili appartengono, ovviamente, al tipo B e, ai sensi del Decreto 460 che disciplina le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, acquisiscono automaticamente lo stato di “onlus” al momento della loro costituzione. Per avere diritto allo status di cooperativa sociale onlus “di tipo B” e ai vantaggi fiscali e di mercato che ne conseguono, le persone svantaggiate impiegate dall’azienda cooperativa devono equivalere ad almeno il 30% dei lavoratori non svantaggiati (ossia, se l’azienda ha 10 lavoratori non svantaggiati è obbligata ad averne altri 3 che sono svantaggiati). L’articolo 4 della legge 381 stabilisce che nelle cooperative sociali di tipo B si considerano persone svantaggiate “gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di ospedali psichiatrici, anche giudiziari, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, i condannati e gli internati ammessi alle misure alternative alla detenzione e al lavoro”. Coinvolgere queste categorie di persone in un’attività aziendale non è affatto facile, e richiede specifiche professionalità che non sono facili da sviluppare. Nel libro “Storie di vite e di imprese sociali” (Edizioni Mag, Verona, 2005), l’esponente di una cooperativa veneta spiega una realtà ben conosciuta da tutti gli addetti della cooperazione sociale: “la formazione di chi lavora nelle cooperative di tipo B nasce sul campo. Ci vuole esperienza e sensibilità personale, capacità di parlare ad un certo tipo di persone. Non tutti ci riescono. Lavorare insieme a soggetti problematici è difficile. Alcuni non ce la fanno proprio”.

Per le cooperative sociali far quadrare i conti non è facile. E’ sicuramente vero che grazie agli sgravi contributivi concessi dalla legge il costo del lavoro delle persone svantaggiate è estremamente basso, ma queste ultime tendono a essere meno produttive e necessitano di un costante accompagnamento da parte dei lavoratori “normodotati” della cooperativa. Per le persone detenute o internate negli istituti penitenziari, gli ex degenti di ospedali psichiatrici giudiziari e le persone condannate e internate ammesse al lavoro esterno, ossia le categorie che più facilmente possono essere coinvolte nelle attività aziendali in modo produttivo, gli sgravi contributivi hanno una durata compresa tra i diciotto e i ventiquattro mesi, pertanto tendono ad avere nelle cooperative sociale una rotazione molto rapida, poco compatibile con tutte le mansioni che, per essere esercitate a standard accettabili, richiedono know-how ed esperienza. Per questa ragione nelle filiere dei rifiuti tessili, storicamente, le cooperative sociali di tipo B tendono a posizionarsi bene nei servizi di raccolta (dove gli svantaggiati fungono soprattutto da accompagnatori agli autisti che compiono le rotte di svuotamento dei contenitori stradali) mentre hanno serie difficoltà a gestire produttivamente gli impianti di selezione R3 (dove la qualità del prodotto è proporzionale all’esperienza degli operai cernitori).

(continua)

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