Le parole dell'"usato": come sono nati termini e neologismi
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Le parole dell'"usato": come sono nati termini e neologismi

Mercoledì 27 Ottobre 2021
Eleonora Truzzi

Oggi l'usato è stato sdoganato, lo dimostrano le pubblicità in televisione e le ricerche degli utenti su Google. Una maggiore attenzione alla salute ambientale e la necessità di compiere gesti sostenibili porta sempre più persone a vendere oggetti non più utilizzati e a comprare a propria volta dei beni di seconda mano, già appartenuti in precedenza a qualcuno. Sono numerosi i neologismi nati intorno al mondo della sostenibilità e qui ti vogliamo proporre una selezione di termini, alcuni nati qualche decina di anni fa e alcuni di nuovo conio, riguardanti il mondo dell'usato e del second hand.

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Economia circolare: il termine si riferisce a un sistema economico in grado di sostenersi e rigenerarsi in autonomia, improntato alla riduzione degli sprechi e al riutilizzo e riciclo dei prodotti già esistenti. La prima volta in cui si è sentito parlare di circuito circolare dei materiali è stato nel 1966 per mano dell'economista Kenneth E. Boulding in un articolo intitolato "The Economics of the Coming Spaceship Earth". Successivamente, un modello di economia circolare è emerso nel 1976 nel rapporto "The Potential for Substituting Manpower for Energy" di Walter Stahel e Genevieve Reday presentato alla Commissione Europea, poi pubblicato come ricerca nel libro "Jobs for Tomorrow: The Potential for Substituting Manpower for Energy" uscito nel 1982. Fino ad arrivare a oggi in cui il termine economia circolare viene utilizzato all'ordine del giorno.

Sostenibilità: il termine sostenibilità non è certo nuovo, deriva infatti dal latino "sustinere" che significa appunto sostenere, conservare, prendersi cura di. Tuttavia, la prima volta in cui questo termine è stato associato all'attuale significato è stato a Stoccolma nel rapporto "Our Common Future" pubblicato dalla Commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo nel 1987 all'interno del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente. Successivamente, si è parlato di sviluppo sostenibile al Summit della Terra che ebbe luogo nel 1992 a Rio de Janeiro. Così, il termine è tornato in auge all'interno dell'Agenda 21, grazie all'approvazione delle Nazioni Unite del programma scaturito proprio dal Summit della Terra. Oggi parlano di sostenibilità politici, imprenditori, media e anche privati cittadini.

Zero waste: nell'ambito dell'usato possiamo citare anche questo termine che si riferisce a un movimento, che oggi viene inteso anche come stile di vita, improntato alla riduzione al minimo dei rifiuti prodotti da una persona sotto qualsiasi punto di vista, quindi dai sacchetti in plastica fino agli oggetti che non vengono più buttati ma riciclati o riutilizzati. Il movimento ha riscosso particolare successo tra il 1998 e il 2002 con eventi e iniziative in tutto il mondo pubblicati sul sito "Zero Waste International Alliance". Dal 2001 sono stati previsti obiettivi di rifiuti zero in California e, in particolare, a San Francisco. Il termine zero waste è riapparso poi nel 2010 sul New York Times nel racconto di Bea Johnson, una donna che ha deciso di applicare questo stile di vita alla sua famiglia. Dalla sua esperienza, nel 2013 è nato anche il libro "Zero Waste Home: la guida definitiva per semplificare la vita riducendo i rifiuti" che è diventata una vera e propria Bibbia del settore. Oggi l'usato può rientrare senza alcun dubbio all'interno del concetto di zero waste perché non solo i prodotti vengono salvati dal diventare spazzatura, ma vengono eliminati anche i rifiuti generati in fase di produzione.

Upcycling: questo termine identifica una sorta di riciclo creativo, un utilizzo di materiali destinati a essere gettati e che vengono salvati per dare vita a un prodotto nuovo, il quale possiede maggior valore rispetto all'oggetto originario. Si è sentito parlare per la prima volta di upcycling nel 1994 in un'intervista all'ingegnere Reiner Pilz apparsa sulla rivista Salvo. Nel testo viene specificato che il riciclo può essere tradotto come down-cycling, mentre l'up-cycling (ciò che è davvero necessario) si occupa di conferire un valore maggiore all'oggetto. Nel 2019 il termine è stato eletto a parola dell'anno dal Cambridge Dictionary.




Vintage: si parla di vintage in riferimento a un oggetto che ha un particolare valore e che appartiene a epoche e stili del passato. Si tratta di un termine che attribuisce particolare pregio all'oggetto a cui viene riferito, esaltando la sua unicità e il suo essere addirittura eccentrico. In realtà, l'etimologia del nome va ricercata nel francese "vendenge" che significa vendemmia. La prima cosa che viene infatti considerata vintage è proprio il vino d'annata. Tuttavia, il termine ha smesso di riferirsi solo ai vini per essere utilizzato tra i mercatini di piazza e i negozi di second hand per parlare di oggetti di epoche passate ma che hanno un certo pregio, come una lampada, un mobile o un gioiello.

Rigattiere: un termine poco in auge al giorno d'oggi ma che veniva spesso utilizzato in passato è quello che denota colui che per lavoro compra e poi rivende oggetti usati, spesso di modico valore. Per alcuni dizionari l'etimologia della parola va ricercata nel termine francese "regrattier", ossia colui che vende al dettaglio, mentre per altri deriva dal latino "recaptare", letteralmente comprare e rivendere. Il rigattiere comprava e poi rivendeva oggetti usati principalmente nei mercati o nelle botteghe, vendendo perlopiù oggetti di uso quotidiano.

Mercatino dell'usato: oggi si parla colloquialmente di mercatino sia per riferirsi al mercato che ha luogo nella piazza di un paese o di una città, sia in riferimento ai negozi che trattano oggetti di seconda mano. Con questo termine si identificano gli esercizi che operano come intermediarti tra venditori e compratori di beni usati. Nei mercatini italiani si trovano sia oggetti vintage che di modesto valore e sono presenti tutti i settori merceologici. Esistono anche mercatini pensati apposta per i bambini e mercatini con la formula della vendita in conto terzi. Anche all'estero questo fenomeno è ormai parte del tessuto sociale.

Riuso: questa parola significa "recupero", "uso nuovo" e a differenza di quanto si potrebbe pensare, è un termine abbastanza recente. È entrato a far parte della lingua italiana nel decennio tra gli anni '60 e '70, inizialmente in riferimento ad aree e edifici che potevano ricevere una destinazione diversa rispetto a quella per la quale erano stati creati. Negli anni duemila acquista l'accezione con cui viene utilizzato più spesso oggi, ossia con il significato di uso ulteriore di un oggetto per ridurre gli sprechi e i consumi.

Riutilizzo: il termine identifica il reimpiego di un materiale o di un prodotto intero nella produzione di un nuovo oggetto per evitare di farlo diventare prematuramente un rifiuto. Oggi si riutilizza per questioni ecologiche, ma agli albori a muovere gli interessi era il denaro. Infatti, riutilizzare un materiale permetteva di evitare l'investimento necessario all'acquisto di nuove materie prime. Il fenomeno della vendita di oggetti di seconda mano va addirittura ricercata nel Medioevo nei mercati dei pegni o nel monte di pietà, un'istituzione nata su iniziativa dei frati senza scopo di lucro. Nel XII secolo sono sorte le prime corporazioni di rigattieri, di cui abbiamo parlato prima per poi diventare una vera e propria istituzione. Il termine è stato ripreso dalla Direttiva Europea 98/2008 che lo ha definito come "qualsiasi operazione attraverso la quale prodotti o componenti che non sono rifiuti vengano reimpiegati per la stessa finalità per la quale erano stati concepiti". Un ulteriore richiamo viene fatto altresì all'interno del decreto legislativo 152/2006 (Testo unico ambientale).

Preparazione per il riutilizzo: diverso da "riutilizzo" è "preparazione per il riutilizzo", termine introdotto dalle medesime fonti normative appena viste, che sottintende il recupero di rifiuti con azioni come la pulizia, il controllo e la riparazione al fine di impiegare nuovamente i prodotti stessi o delle loro componenti.



Pre-loved: tradotto come "precedentemente posseduto" o "di seconda mano", si tratta di un aggettivo estremamente curioso per definire un oggetto che ha già avuto un proprietario precedente. Il suo primo utilizzo è avvenuto nel 1972 su un giornale dell'Ohio in riferimento a una casa. Tuttavia, l'aggettivo può essere accostato a qualsiasi oggetto, dai vestiti ai mobili. Ciò che affascina maggiormente di questo termine è che esprime sì il concetto di bene di seconda mano, tuttavia non punta l'attenzione sul fatto che l'oggetto è stato precedentemente posseduto da qualcun altro, bensì sul fatto che quello stesso oggetto è stato 'pre-amato' da qualcun altro.

Nuovamente speciale: infine, parliamo di un termine largamente utilizzato all'interno dei negozi Baby Bazar. L'intento di base è molto simile a quello di "pre-loved". L'idea è infatti di non soffermarsi sul fatto che un oggetto abbia già avuto un proprietario, ma sul fatto che grazie alla seconda vita che gli è stata regalata il suo valore cresca.

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