Il gran rompicapo degli indumenti usati
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Il gran rompicapo degli indumenti usati

Martedì 13 Aprile 2021

Pietro Luppi, Direttore Centro di Ricerca Occhio del Riciclone

 

Gli abiti usati sono senza dubbio l'avanguardia di ciò che diventerà il settore della preparazione per il riutilizzo nel prossimo futuro. Classificati come rifiuti urbani tessili nelle categorie 200110 e 200111, vengono raccolti in contenitori stradali, trasportati a impianti di trattamento e selezionati e igienizzati; da lì la frazione riusabile, che è preponderante, viene distribuita alle filiere dell'usato nazionali e internazionali; quella riciclabile a industrie che ormai non si trovano quasi più a Prato ma soprattutto in India e Pakistan, e la frazione residuale è destinata ai canali di smaltimento dei rifiuti speciali. Quando la preparazione per il riutilizzo prenderà piede, vedremo filiere altrettanto articolate anche per i mobili, l'oggettistica e le altre frazioni di beni durevoli che oggi vengono conferite nei rifiuti urbani. Ma il settore abiti usati, nonostante abbia molto da insegnare, è pieno di problemi che non sono ancora stati sciolti. E in questa fase vive un vero e proprio terremoto provocato dall'eccezionale convergenza di eventi economici e normativi.

 

abiti-usati

Iniziamo enumerando i fattori economici:

 



Più costi e meno ricavi nel settore degli abiti usati

Ovviamente la concomitanza di questi fattori, il cui effetto congiunto può essere riassunto in "molti più costi e molti meno ricavi", sta rompendo i punti di equilibri mettendo la maggioranza degli operatori in grave difficoltà. La crisi di alcuni di essi riguarda aspetti non solo economici ma anche di identità e di immagine; ad esempio quegli operatori che un tempo riuscivano a donare sostanziosi "quid" a progetti sociali meritandosi in questo modo l'appellativo di "solidali" in questo ambito non riescono più a offrire quasi nulla; al contrario, sono indotti dalla necessità di sopravvivenza a cedere quote crescenti di vestiti usati a filiere indiane e pakistane molto poco etiche dove i vestiti di scarso valore sono gestiti redditivamente solo grazie a lavoro minorile, commercio al nero e crimini ambientali sistematici.

Sul fronte normativo, gli input al settore non sono meno dirompenti:

Il terremoto che abbiamo velocemente descritto non riguarderà solo gli addetti del settore rifiuti, ma una gamma molto più ampia di operatori. La raccolta dei rifiuti tessili non è infatti che il primo anello di una catena che garantisce migliaia di posti di lavoro tra mercati e posti ambulanti. Inoltre le sue fluttuazioni, cambiando la quantità di vestiti usati in circolazione, creano inevitabili conseguenze di mercato anche sugli operatori che gestiscono abiti usati senza avere legami diretti con la raccolta dei rifiuti tessili (come ad esempio i negozianti dell'usato conto terzi, che si approvvigionano direttamente dai privati).

A ragionare sul gran rompicapo degli indumenti usati oggi sono in tanti, animati da interessi diversi e talvolta opposti. Ciò che è assolutamente certo è che alla fase di disarticolazione già incipiente dovrà subentrare una fase di ricomposizione. Il nuovo volto del settore dipenderà, soprattutto, dalla qualità dei ragionamenti messi in campo e dalla lungimiranza dei decisori.

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