L'Europa fa il punto sulle esportazioni di abiti usati
Redazione Leotron
In Europa il tema rifiuti tessili è sempre più caldo. Dal primo gennaio 2025 tutti gli Stati membri saranno obbligati a garantire specifiche raccolte differenziate per questa frazione di rifiuto, e a questa misura sarà associata l’istituzione di regimi di responsabilità estesa del produttore, per mezzo dei quali tutti i soggetti giuridici che immettono sul mercato di capi d’abbigliamento e prodotti tessili dovranno finanziare e organizzare le filiere del recupero. Queste ultime fino a oggi, e spesso lontano dai riflettori, sono dipese dalle raccolte territoriali autorizzate dai Comuni, che poi sfociano in filiere cresciute e consolidatesi in base al libero funzionamento del mercato.
L’Agenzia Ambientale Europea (EEA), nell’intento di offrire dati oggettivi e imparziali sui quali fondare le politiche ambientali degli Stati, ha pubblicato a fine febbraio un interessante report sulle esportazioni di abiti usati che mette luce sul funzionamento attuale delle filiere (per leggere il report integrale fai clic qui: https://www.eea.europa.eu/publications/eu-exports-of-used-textiles/eu-exports-of-used-textiles).
Nell’introduzione allo studio, la EEA mette in risalto che i cittadini europei, tendenzialmente, hanno la percezione che i loro vestiti usati, dopo essere stati acquisiti dai sistemi di raccolta, vengano donati a persone bisognose. Ma questa percezione non corrisponde a realtà.
Le raccolte sono difatti destinate a filiere commerciali che negli ultimi venti anni sono cresciute vertiginosamente: dalle 550.000 tonnellate del 2000 alle 1,7 milioni di tonnellate del 2019. Mediamente un cittadino europeo consuma 15kg di abiti ogni anno, e il 38% di questo volume (3,8 kg ad abitante) viene raccolto in modo differenziato ed esportato fuori dall’Unione Europea (ma con grandi differenze dipendendo dal paese, ad esempio in Spagna le raccolte dedicate rappresentano il 12% dell’immesso al consumo, mentre in Germania arrivano al 60%).
Le principali destinazioni di queste esportazioni sono l’Africa, con un 46% del totale, e l’Asia, con un 41% del totale. I canali africani piazzano gli abiti usati nei mercati locali della seconda mano, mentre i canali africani (essenzialmente India e Pakistan) sono specializzati nel riciclo di fibre e, in parte, riesportano gli abiti usati a canali della seconda mano ubicati in altri paesi. Prima di essere destinati ai canali finali di recupero, i rifiuti tessili necessitano di operazioni di selezione che non sempre sono svolte nei paesi dove avviene la raccolta, e questo dipende, essenzialmente da tre fattori: il costo della manodopera impiegata nella selezione e le economie di scala di questo lavoro specializzato. La selezione è una procedura labour intensive, dove il costo del lavoro determina la possibilità di generare o non generare profitti. Lo studio dell’EEA evidenzia che in Danimarca, Finlandia, Svezia e Germania non esiste una significativa capacità di selezione. In Olanda e Polonia, invece, esiste un grande settore dedito a queste operazioni. In Polonia, così come in altri paesi dove il costo della manodopera non è molto alto, gli impianti di selezione sono cresciuti non in funzione delle raccolte locali ma per assorbire volumi di rifiuti tessili provenienti da paesi dove il costo della manodopera è più alto. I più grandi porti di esportazione extraeuropea del rifiuto tessile si trovano in Belgio, Italia e Olanda.
L’Agenzia Europea, evidenziando che parte di quanto esportato ai canali di riuso e riciclo europeo termina in realtà in smaltimenti illeciti (discariche a cielo aperto, ecc.), pone l’accento sulla necessità di monitorare con rigore l’intero percorso degli abiti usati. Una necessità che sarà ancora maggiore dopo il 2025, dove in conseguenza dell’obbligo generalizzato di implementare le raccolte differenziate del tessile, si prevede un esponenziale aumento dei volumi da gestire. Secondo l’EEA la chiarezza dei codici doganali è uno dei primi punti da affrontare perché il controllo delle filiere sia possibile: attualmente, infatti, non esiste un codice doganale specifico per il rifiuto tessile ma solo due codici riguardanti vestiti usati (6309) e materie secondarie tessili (6310), dai quali è impossibile stabilire se il materiale in oggetto ha estinto o non ha estinto la sua condizione di rifiuto (perché i tessili delle raccolte differenziate estinguano legalmente la loro condizione di rifiuto sono necessarie operazioni di selezione “end of waste” che includono la separazione da tutto il resto degli scarti non recuperabili).
Fonte: European Environmental Agency, 2023