Esportazione extraUE di abiti usati: una questione complessa
Articolo apparso ad aprile su Oltreilgreen24, newsletter di approfondimento realizzata dal Gruppo Safe in collaborazione con il Sole24ore. Si ringrazia il Gruppo Safe per la gentile concessione.
Negli ultimi 3 anni, ripetutamente, la gestione scorretta degli abiti usati esportati al di fuori dei confini europei è stata oggetto di reportage con grandissimo impatto mediatico, che hanno mostrato raccapriccianti immagini di smaltimenti selvaggi e sistematici in Cile e Ghana. Sull’onda di questi scandali, l’Europa ha deciso di dedicare una speciale attenzione al fenomeno dei rifiuti tessili esportati al di fuori dei confini dell’Unione. A spingere per un giro di vite alle esportazioni è stato soprattutto il Ministro dell’Ambiente francese Christophe Béchu, che il 14 marzo 2024, immediatamente appoggiato dai Ministri di Danimarca e Svezia, ha chiesto al Consiglio Europeo di affrontare il problema durante la riunione programmata per il 25 marzo. “L’Africa deve smettere di essere la pattumiera del nostro fast-fashion. Dovremmo ridurre i rifiuti e gestire i nostri rifiuti ”, ha dichiarato Béchu all’agenzia di stampa Reuters. Il 25 marzo la Francia ha specificato meglio la sua proposta, chiedendo ai Ministri dell’Ambiente partecipanti alla riunione del Consiglio di sollecitare la Commissione Europea a produrre una proposta da discutere a primavera 2025 nel contesto della prossima Conferenza delle parti della convenzione di Basilea (COP17); la proposta, secondo la Francia, dovrebbe puntare a includere i rifiuti tessili ai controlli della Convenzione, così come accaduto con i RAEE. Nel concreto, si tratterebbe di introdurre un consenso informato preventivo sul livello di pericolosità dei rifiuti tessili importati od esportati e di vietare tout court l’esportazione di rifiuti tessili contaminati con sostanze pericolose.
Nel frattempo, sempre il 25 marzo, il Consiglio Europeo ha approvato la proposta di “Regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti, che modifica i regolamenti (UE) n. 1257/2013 e (UE) 2020/1056 e abroga il Regolamento (CE) n. 1013/2006”; la proposta era già stata approvata dal Parlamento Europeo, quindi perché venga pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed entri in vigore manca solo la firma congiunta dei Presidenti del Parlamento Europeo e del Consiglio Europeo. Il nuovo regolamento attua a livello di Unione Europea la convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento, introducendo norme e procedure più stringenti e stabilendo, tra le altre cose, il divieto di esportazione dei rifiuti tessili verso i paesi che non aderiscono all’OCSE; nell’elenco di rifiuti tessili per i quali vige il divieto figurano anche gli indumenti, ma solo nel caso siano “usurati” (a meno che, nel testo italiano del regolamento, il termine “usurati” non sia una traduzione imprecisa del testo inglese del regolamento che dice invece “worn”: parola che può essere impiegata anche per dire “indossato”, ossia “usato”...).
Nei suoi consideranda, il Regolamento dice che per i paesi non aderenti all’OCSE (come ad esempio la Tunisia, che è il principale importatore di rifiuti tessili italiani) “l’esportazione dall’Unione dovrebbe essere consentita soltanto per i rifiuti che non sono già soggetti al divieto di esportazione di rifiuti pericolosi e per alcuni altri rifiuti destinati al recupero in paesi terzi ai quali non si applica la decisione OCSE, e soltanto verso i paesi inclusi in un elenco redatto e aggiornato dalla Commissione, quando tali paesi abbiano presentato a quest’ultima una richiesta nella quale dichiarano la loro disponibilità a ricevere determinati rifiuti non pericolosi o determinate miscele di rifiuti non pericolosi dall’Unione e dimostrano la loro capacità di gestirli in modo ecologicamente corretto (...).
Tali criteri dovrebbero includere il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di diritto del lavoro e diritti dei lavoratori. Data la probabilità che gli Stati membri potrebbero ratificare altre convenzioni di questo tipo in futuro, la Commissione dovrebbe avere il potere di aggiungere le convenzioni pertinenti ai criteri di cui al presente regolamento. Le esportazioni verso paesi diversi da quelli inclusi nell’elenco che la Commissione redigerà dovrebbero essere proibite. Al fine di assicurare un periodo di tempo sufficiente per passare a questo nuovo regime, dovrebbe essere previsto un periodo transitorio di tre anni dalla data di entrata in vigore (...)”.
Parallelamente, il Presidente del Consiglio Europeo ha emesso una nota dove, riferendosi alla proposta della Commissione Europea di introdurre obbligatoriamente negli Stati Membri la responsabilità estesa del produttore dei rifiuti tessili afferma che “uno degli obiettivi della proposta, generalmente sostenuta dagli Stati membri, è porre fine alla pratica illegale delle spedizioni di rifiuti tessili con la parvenza di prodotti tessili usati. Per questo motivo, la proposta stabilisce che, prima della fase di cernita professionale, tutti i prodotti tessili, associati ai tessili e calzaturieri (‘tessili’), usati e di scarto, oggetto di raccolta differenziata siano considerati rifiuti , ad eccezione dei tessili usati ritenuti idonei al riutilizzo in base a una valutazione professionale da parte degli operatori del settore e dei soggetti dell’economia sociale presso il punto di raccolta dove li hanno conferiti gli utilizzatori finali, i quali non dovrebbero essere considerati rifiuti. La cernita professionale dovrebbe consentire una chiara distinzione tra le spedizioni di rifiuti tessili e le spedizioni di tessili usati destinati al riutilizzo.
Le spedizioni di rifiuti tessili (destinati ad esempio al riciclaggio o alla preparazione per il riutilizzo, come l’ulteriore cernita o la riparazione) rimarranno soggette al regolamento relativo alle spedizioni di rifiuti , mentre la spedizione professionale di tessili usati, che non sono rifiuti, destinati al riutilizzo sarà soggetta alle disposizioni specifiche della direttiva quadro sui rifiuti ”.
Sul tema delle esportazioni dei rifiuti tessili e degli abiti usati ai paesi extraeuropei il dibattito è molto vivo e pieno di voci contrastanti. Da un lato c’è chi considera un male sia le esportazioni di rifiuti tessili che quelle degli abiti riutilizzabili, sottolineando che prima o poi, in tutti i casi, gli abiti arriveranno a fine vita, e che il contesto specifico dei paesi importatori non consentirà uno smaltimento adeguato. Dall’altro lato ci sono gli operatori del recupero tessile, come quelli rappresentati dall’associazione di categoria europea Euric Textile, che offrono dati LCA che mostrano come l’opzione del riutilizzo in Africa abbia un impatto ambientale settanta volte minore rispetto alle opzioni di riciclo chimico in Europa (ma sempre e quando lo smaltimento in Africa avvenga correttamente!); gli operatori del recupero tessile, in generale, argomentano che senza i canali africani non sarà possibile rispettare la gerarchia dei rifiuti, che pone il riutilizzo in cima e che il rischio è che la maggior parte dei rifiuti tessili venga incenerita.
Nel frattempo, i think tank internazionali, il mondo dell’accademia e i comitati tecnici della Commissione Europea e dell’OCSE hanno cominciato a porre attenzione sul fenomeno e a proporre soluzioni. Tra le proposte in discussione c’è quella dell’Ultimate Producer Responsibility (UPR), proposto per la prima volta nel 2022 dagli accademici Thapa, Vermeulen, Olayide e Deutz nel brief finale di un progetto di ricerca Horizon 2020. Il concetto di UPR implica che i produttori debbano garantire la tracciabilità integrale delle filiere sia nei paesi esportatori che in quelli importatori e indipendentemente dalla zona geografica in cui avvengono le operazioni.