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COVID-19 e gli invisibili del mercato dell'usato

Lunedì 11 Maggio 2020

In questi giorni si stanno alternando le polemiche tra Stato e Regioni sulla riapertura di attività commerciali, bar, ristoranti e parrucchieri. Le attività imprenditoriali saranno infatti chiamate a risollevare la tragica situazione economica del nostro paese ma dovranno farlo evitando la ricaduta nel tunnel dei contagi.

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Tra le varie categorie di imprenditori che dovranno rimboccarsi le maniche è stata però completamente dimenticata la second hand economy. L'usato in Italia, secondo Doxa, ha un volume d'affari di circa 23 miliardi di euro, pari all'1,3% del PIL. Ovviamente la stima di Doxa comprende l'usato nella sua globalità e una fetta importante è rappresentato dai negozi dell'usato, la maggior parte dei quali sono impostati come agenzie d'affari organizzate per la vendita in conto terzi. Si contano oltre 3.000 micro o piccole imprese, spesso a carattere familiare, che nel 65% dei casi sono ditte individuali e occupano mediamente 2 addetti (fonte: cluster 8 Agenzia delle Entrate).

Questi imprenditori contribuiscono, con l'economia del riutilizzo, ad allungare il ciclo di vita di prodotti di uso comune (abbigliamento, oggettistica, mobili) intercettando i beni prima che diventino rifiuti, sostenendo un'economia prettamente locale e re-immettendo del denaro nella propria comunità di riferimento. In molti casi devolvono l'invenduto a sostegno di operazioni di solidarietà, assumendo un certo grado di responsabilità sociale. Molti negozi sono addirittura specializzati nell'area dell'infanzia (come BABYBAZAR e Secondamanina).

Queste attività non hanno un preciso codice ATECO di riferimento, in quanto non sono ancora inquadrate in maniera precisa: l'Agenzia delle Entrate equipara questi imprenditori ai procacciatori d'affari (con il codice ATECO 46.19.02), con tutti i limiti e le difficoltà del caso.

I negozi dell'usato baby

Il primo elemento che ha provato che i negozi dell'usato sono praticamente invisibili è stato il 14 aprile data nella quale, oltre a far ripartire il commercio di carta, cartone e articoli di cartoleria, il DCPM governativo ha autorizzato la riapertura dei negozi di vestiti per bambini e neonati.

Sembrava quindi che i negozi dell'usato baby potessero riaprire, visto che a tutti gli effetti questi negozi vendono vestiti per bambini e neonati. Prendendo in considerazione i protocolli di sicurezza stabiliti per la riapertura, si poteva infatti ragionevolmente supporre che sarebbe dovuta prevalere la tipologia di merce venduta all'interno del negozio piuttosto che l'organizzazione fiscale. Purtroppo non è stato così o perlomeno non per tutti i negozi dell'usato di questo tipo.

Molti Comuni attraverso la Prefettura o attraverso la polizia municipale, hanno espressamente vietato la riapertura dei negozi dell'usato baby in quanto, a detta loro, non rappresentavano veri e propri negozi al dettaglio ma erano appunto organizzati come procacciatori d'affari. Simbolico è il caso di Roma dove la polizia municipale ha espressamente minacciato un nostro affiliato di multarlo e fargli chiudere il negozio se solo si fosse azzardato ad aprire l'attività. Avvantaggiandosi del fatto che il nostro tipo di attività non è ben delineato, lo stesso comune di Roma applica però la tariffa rifiuti (Ta.Ri.) come se il negozio dell'usato baby fosse un negozio al dettaglio (ignorando tra l'altro una sentenza della Commissione Tributaria Regionale Sardegna che lo ha escluso). Quindi due pesi e due misure, da parte di uno stesso soggetto (il Comune di Roma) per la stessa attività.

Tutti i soggetti amministrativi che hanno adottato la linea della repressione, giusto per non rischiare, si sono ovviamente ben guardati di non fornire alcun documento scritto che comprovasse la loro arbitraria decisione.




Mercatini dell'usato con ATECO 46.19.02

Purtroppo la questione non finisce qui. Nel DCPM del 26 aprile successivo, l'allegato 3 riportava i codici ATECO delle attività che avrebbero potuto riaprire il successivo 4 maggio e tra gli altri codici veniva indicato che l'ATECO nel gruppo 46 (compresi i sottogruppi) avrebbe potuto riaprire i battenti.

Quindi sarebbe stato un via libera per tutti i mercatini dell'usato che, appunto, utilizzavano quel codice. Tutto ciò ovviamente, non per volontà politica, ma semplicemente perché chi ci governa non sa nemmeno dell'esistenza del nostro settore e non ha quindi considerato che nel codice ATECO del gruppo 46 ci sono anche gli intermediari del commercio, tra i quali le agenzie d'affari e i procacciatori. Se spesso le autorità dicono ai cittadini che la legge non ammette ignoranza è innegabile che, in questo caso, ciò valga solo per i comuni mortali e non per le istituzioni.

Ovviamente anche in questo caso Prefetture e polizia municipale hanno dato la loro personale interpretazione al DCPM impedendo l'apertura a molti negozi dell'usato, con la minaccia di ritorsioni e, anche in questo caso, non lasciando mai nulla di scritto sui divieti ordinati soloverbalmente.

Negozi dell'usato come attività di prevenzione dei rifiuti

Se volessimo essere ancora più precisi, la nostra tipologia di attività opera nell'ambito della prevenzione dei rifiuti e, per legge, avrebbe potuto rimanere sempre operativa, semplicemente con una notifica PEC alla Prefettura che sottolineasse che il servizio effettuato dai negozi di questo settore è di supporto ad una filiera autorizzata ad essere operativa (quella dei rifiuti).




Sostegno dell'economia o tutela della salute?

È ovvio che si può essere d'accordo con l'imprenditore che vede nella possibilità di riapertura della propria attività un modo per ricostruire la propria economia familiare, azzerata da Covid-19, o si può essere d'accordo con coloro che sostengono che l'economia debba venire dopo la tutela della salute ma è indubbio che l'invisibilità del nostro settore ha dato, in questo frangente, la possibilità ai Comuni di agire arbitrariamente, anche al di fuori della legge, con interpretazioni personali del funzionario o del vigile di turno.

È un fatto che riteniamo vergognoso. Nei confronti del nostro settore lo Stato non è riuscito a dare una direzione e gli enti locali hanno applicato la legge interpretandola con la solita impostazione tesa a contrastare gli imprenditori.

Gli imprenditori dell'usato si sentono così: invisibili, ostacolati sui diritti e vessati sui doveri. Mucche da mungere quando serve e ignorati quando si potrebbero aiutare.

Siamo convinti che il riutilizzo potrebbe cogliere l'opportunità fornita da questo difficile periodo per essere un importante traino di ripresa economica, in un momento dove le persone hanno imparato ad essere attente a ciò che spendono e potrebbero quindi valutare un prodotto usato di qualità e che dura nel tempo, piuttosto che un prodotto nuovo progettato per diventare un rifiuto nel più breve tempo possibile, tipico di una cultura "usa e getta" che oggi è in profonda crisi.

Gli imprenditori dell'usato devono farsi sentire e unirsi sotto una bandiera comune, per chiedere regole chiare e non farsi prendere in giro da interpretazioni che si basano sull'arbitrio del funzionario di turno che spesso ignora l'importanza del nostro lavoro per la nostra società.

Rete ONU è l'associazione nazionale che rappresenta, in Italia, il mondo dell'usato ed è oggi presente ai più importanti tavoli nazionali sul riutilizzo e sull'economia circolare, promotrice di una proposta di legge a favore del settore già incardinata in Parlamento. Possono aderire a Rete ONU i network e le associazioni del settore che vengono ritenute particolarmente rappresentative e Leotron è uno dei fondatori di questa associazione.

Se sei un imprenditore dell'usato autonomo e operi in conto terzi puoi aderire a NIU.eco, il nuovo network di Leotron, pensato specificatamente per gli imprenditori autonomi ed essere quindi rappresentato, in modo autorevole, all'interno dell'associazione nazionale. Uniti cresceremo tutti!

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