4 indicatori che mostrano che il riuso è in ascesa
Sandra Garay
Le dichiarazioni sull’ascesa trionfante del riuso, così come tutte le dichiarazioni che riguardano il futuro di un settore di mercato, vanno sempre prese con le pinze. Studi e ricerche sono infatti spesso finanziati da soggetti che hanno interesse a influenzare il mercato degli azionisti e le decisioni dei fondi di investimento internazionali. Abbiamo comunque letto con un certo interesse l’analisi sulla crescita globale del mercato del riuso compiuta da Kevin Moss e Manish Bapna. Entrambi sono esponenti del World Resources Institute (WRI): un think thank che promuove la sostenibilità e che fin dalla sua nascita vive delle donazioni di un gruppo di grandi corporation. Gli autori però, affrontando il tema del riuso, hanno fatto disclosure e chiarito che alcuni dei big player citati nella loro analisi sono donatori di WRI; asseriscono però che i loro argomenti riflettono solo ed esclusivamente le loro opinioni, e di fronte alla chiarezza è sempre giusto presumere la buona fede.
Moss e Bapna, alla luce di un’osservazione dei trend di business risalente alla fine del 2020, affermano che il riuso è un fenomeno che sta uscendo dalla nicchia e diventando mainstream, e a loro avviso ciò è evidente in base a 4 semplici indicatori:
1. La Grande Distribuzione Organizzata sta abbracciando la seconda mano
Moss e Bapna portano gli esempi di IKEA (con il suo programma “Global buyback” e i suoi negozi di rivendita del pre-owned) di Walmart e JC Penny (entrati in partenariato con il sito di usato online ThredUp’s). H&M, Levi’s, Patagonia, Nordstrom e altri grandi brand stanno sviluppando progetti pilota di riparazione dei vestiti e di vendita al dettaglio di capi di seconda mano. A fronte di una contrazione del 15% del mercato globale del retail tra il 2019 e il 2021, gli autori affermano che va preso atto che, parallelamente, per lo stesso periodo le aspettative di crescita dell’usato online erano del 69%. Il retail genera un volume d’affari di 334 miliardi di dollari annui e l’usato online, con i suoi 12 miliardi di fatturato, rappresenta circa il 3,5% di questo volume (ricordiamo che, generalmente, una nicchia di mercato è così definita quando non supera il 2-3% del suo mercato di riferimento; se la tendenza si consolidasse la condizione di nicchia potrebbe presto essere superata).
2. L’impulso delle piattaforme online
Gli autori dell’analisi non fanno valutazioni sulla sostenibilità economica delle piattaforme online, ma prendono atto del loro ruolo guida sui gusti dei consumatori e in particolare sulla cosiddetta Generazione Z. Tra i più forti generatori di tendenza è menzionata la piattaforma inglese Depop, con il suo concetto di “peer-to-peer social shopping”. Ma a colpire maggiormente l’attenzione è l’ingresso sulla scena di mercato del colosso cinese dell’e-commerce Alibaba che da pochi anni ha lanciato il marketplace Xianyu, interamente dedicato alla compravendita di beni usati tra privati.
3. Stanno emergendo servizi business-to-business che aiutano le aziende a implementare il riutilizzo
E’ il caso di Trove, compagnia californiana che si è specializzata nel progettare e portare avanti modelli di riutilizzo per conto dei grandi brand, e che conta tra i suoi clienti big players come Levi’s, Patagonia e Nordstrom; della francese Lizee, che offre servizi di logistica e management per le catene retail di abbigliamento interessate a penetrare nel mercato dei vestiti in affitto; di The Renewal Workshop, piattaforma online basata in Oregon che mette in contatto le aziende che hanno abbigliamento di risulta con aziende che fanno upcycling; di Recurate, fondata nel 2020, che assiste brand e retailer nell’implementazione di modelli commerciali della seconda mano. I casi menzionati da Moss e Bapna, evidentemente, sono lontani anni luce dalle piccole start-up sperimentali di cui ogni tanto parlano i giornali, che nascono e muoiono come mosche, e che, più che fenomeno di mercato, potrebbero essere considerate sintomo e segnale di una tendenza ideale e di gusto. Trove, Lizee, The Renewal Workshop e Recurate sono in apparenza tutto il contrario, sono aziende nate a partire da ingenti investimenti e come conseguenza di oculate analisi di mercato, e a dimostrarlo è l’importanza del loro portafoglio clienti.
4. Manutenzione, riparazione e refurbishing stanno diventando “core business” dei produttori di beni
Il mercato globale della manutenzione è stato valutato in 1,3 trilioni di dollari nel 2019. Il colosso americano Bestbuy, specializzato nella rivendita di apparati elettrici ed elettronici, è arrivata a riparare 5 milioni di oggetti elettronici all’anno, fatturando per questo tipo di servizio 2 miliardi annui, ossia il 5% del suo fatturato globale (a gestire le operazioni è l’azienda controllata Geek Squad). Altre grandi aziende attive nel settore statunitense della riparazione sono Staples, Apple’s Genius Bar and uBreakiFix. Secondo Moss e Bapna le grandi aziende rimpiazzeranno i riparatori artigiani perché riescono a implementare economie di scala che abbattono i costi del servizio.
Le argomentazioni di Moss e Bapna, nel loro complesso, si basano su un semplice (forse troppo semplice) postulato: i grandi brand si muovono in una certa direzione, e quindi il futuro è là che si trova. A rafforzare la loro tesi è comunque un argomento solido, che pongono a corollario della loro descrizione del mercato: i governi spingono in modo sempre più determinato verso l’economia circolare e ciò renderà sostenibile, o obbligatorio, ciò che finora non si sosteneva ed era opzionale. I due autori chiudono la loro analisi con la seguente conclusione: “il nostro messaggio ai CEO è che la situazione sta cambiando. Come i produttori di automobili ben sanno, l’alto valore di un prodotto usato non mina il valore di un prodotto nuovo; lo incrementa”.
Fonte: https://www.wri.org/insights/4-indicators-reuse-and-resale-market-rise