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Le molte vie della durabilità

Venerdì 01 Agosto 2025

Chi è il principale nemico del Riutilizzo? La risposta è ovvia: la scarsa durabilità dei prodotti. L’usa e getta, l’obsolescenza programmata, il fast-fashion e, in generale, tutti i prodotti che costano (troppo) poco e durano ancora più poco, non sono compatibili con una prospettiva di Riutilizzo. E l’abnorme incremento di questi fenomeni di economia compulsiva sta creando problemi ambientali molto difficili da gestire.

durabilita 

L’Europa se ne è accorta da tempo, e il 18 luglio 2024, esattamente un anno fa, è finalmente entrato in vigore un Regolamento europeo sull’Ecodesign (Ue/2023/1542) che obbliga le imprese che immettono prodotti sul mercato comunitario a rispettare specifici vincoli in merito alla progettazione eco-efficiente dei prodotti. La durabilità è il primo requisito, perché i prodotti siano longevi e riutilizzabili. Dopodiché i prodotti devono essere riparabili, smontabili, riciclabili e contenere una certa quota di materiale riciclato. I dettagli (il diavolo si nasconde sempre nei dettagli!) sono in via di discussione nei tavoli di concertazione organizzati dalla Commissione Europea a Bruxelles, e sfoceranno in Atti Delegati con indicazioni più specifiche in relazione a ogni settore e prodotto.

Logicamente, in questi tavoli uno degli argomenti più bollenti è proprio quello della durabilità. Studi alla mano, molte imprese, spesso made in Italy, che puntano sulla qualità dei loro prodotti, dichiarano che la lunghezza del ciclo di vita degli oggetti non dipende solo dalla capacità di resistere a stress materiali, ma anche da una molteplicità di altri fattori. La durabilità intesa in ambito strettamente fisico è ormai un concetto vecchio, cestinato!




Secondo gli accademici indiani Rahul Jetti e Debayan Dhar, che si sono presi la briga di fare una rassegna sistematica di tutti gli articoli tecnici e scientifici che affrontano il tema, a far sì che un prodotto viva a lungo (nelle stesse mani o in mani differenti) intervengono almeno quattro tipologie di durabilità:

  1. Durabilità fisica – resistenza a stress ambientali e usura, garantendo funzionalità prolungata. Per ottenere questo requisito i designer devono porre particolare attenzione alla robustezza dei prodotti, e alle loro caratteristiche tecniche di riparabilità, manutenibilità e/o aggiornabilità. In questo ambito l’estetica non è di certo importante.
  2. Durabilità emotiva – capacità del prodotto di creare legami affettivi profondi con l’utente, riducendo la predisposizione a sostituirlo. La durabilità emotiva sfida l'obsolescenza creando, integrando e rafforzando significati emotivi che devono essere in grado di risuonare con le emozioni dell’utente, stimolando un suo coinvolgimento duraturo. La durabilità emotiva è stata esplorata attraverso un framework esperienziale in sei punti, che include narrativa, distacco, attaccamento, superficie, finzione e coscienza. La letteratura tecnica sottolinea che i ricordi personali, il piacere dell'uso e l'espressione di sé sono elementi fondamentali che contribuiscono a stabilire connessioni emotive durature. In questo campo l’estetica fa da padrona.
  3. Durabilità psicologica – soddisfa bisogni cognitivo-emotivi dell’utente per lunghi periodi di tempo, puntando su comfort, personalizzazione dell’interfaccia, familiarità. È un ambito che include la durabilità emotiva ma va oltre di essa, abbracciando anche aspetti di “dipendenza” funzionale. Ad esempio, uno smartphone che riduce lo stress digitale per mezzo di interfaccia che si adattano progressivamente alle esigenze dell’utente e diventano difficili da uguagliare.
  4. Durabilità strategica – allineamento della vita del prodotto con gli obiettivi aziendali di sostenibilità (come, per l’appunto, quello di favorire il riutilizzo). Questo tipo di durabilità integra aspetti e strumenti che vanno oltre la mera resistenza fisica del prodotto, e anche oltre le sue qualità emotive e di presa psicologica. Un esempio calzante è quello del passaporto digitale del prodotto (DPP), che funge da strumento di trasparenza, promuovendo la partecipazione del consumatore nella cura del ciclo di vita dell’oggetto.




Così come è importante conoscere le malattie per preservare la salute del corpo, è importante conoscere le ragioni dell’obsolescenza per promuovere la durabilità dei prodotti. Jett e Dhar hanno identificato ben 10 tipi di obsolescenza:

  1. Obsolescenza tecnologica- sopravviene quando il prodotto non regge più il confronto con nuovi prodotti sopraggiunti nel mercato che hanno più funzioni e sono più performanti. Psicologicamente, l’utente percepisce che il proprio prodotto è sorpassato.
  2. Obsolescenza funzionale- generalmente provocata da cambiamenti nel contesto (diventa ad esempio obsoleto un cellulare che non supporta internet, quando a livello professionale e sociale l’uso di whatsapp non solo è opportuno ma è preteso).
  3. Obsolescenza psicologica- perché il prodotto non incontra più la preferenza dell’utente, magari perché è cambiata la moda. È legata soprattutto ad aspetti estetici e stilistici, e viene studiata per affrontare la questione della durabilità psicologica ed emotiva.
  4. Obsolescenza economica- si osserva quando la manutenzione o l'utilizzo di un prodotto esistente diventa meno sostenibile economicamente rispetto alla sua sostituzione con un prodotto nuovo. Ad esempio, si potrebbe scegliere di sostituire una lavatrice che impiega molta energia elettrica e rende le bollette salate con una lavatrice nuova energeticamente più efficiente, oppure di comprare un paio di scarpe nuove dopo che il calzolaio ci ha chiesto un prezzo esagerato per riparare quelle vecchie.
  5. Diminuzione delle fonti di produzione e carenza di materiali (DMSMS)- questa obsolescenza si verifica quando componenti, materiali o tecnologie essenziali diventano non disponibili a causa di interruzioni della catena di fornitura, influendo sulla manutenibilità e sull'aggiornabilità del prodotto. È un’obsolescenza ben conosciuta da chi ama gli elettrodomestici vintage e le auto d’epoca.
  6. Obsolescenza programmata – avviene quando le componenti di un prodotto sono progettate per avere una durata inferiore rispetto a quanto tecnicamente possibile. Questa obsolescenza, che comincia a essere contrastata dalle leggi, è una strategia delle case produttrici per costringere i consumatori, dopo un tempo determinato, a rimpiazzare i prodotti in uso con prodotti nuovi (che potrebbero anche avere caratteristiche del tutto uguali rispetto a quelli obsoleti). Uno dei modi per ottenerla è imporre aggiornamenti software che dopo un determinato tempo non sono più compatibili con i device.
  7. Obsolescenza facoltativa - si verifica quando i produttori continuano a produrre oggetti con tecnologie obsolete per risparmiare costi di produzione. È una scelta del produttore che favorisce l’obsolescenza tecnologica, perché il consumatore si stufa presto dell’oggetto e lo sostituisce con le alternative più moderne offerte dal mercato.
  8. Obsolescenza ecologica- avviene quando i prodotti sono sostituiti a causa del loro impatto negativo sull'ambiente. Si potrebbe decidere di sostituire una stufa a cherosene perfettamente funzionante a causa delle sue emissioni. Analogamente, esistono obsolescenze sanitarie, ad esempio quando si scopre che un determinato capo di abbigliamento rilascia sostanza chimiche di cui si è scoperta la dannosità.
  9. Obsolescenza sociale - deriva da un cambiamento nella percezione sociale di un prodotto, indotto dall’evoluzione dei valori sociali. Diventa ad esempio inopportuno tenere in salotto una bambola o un pupazzo razzialmente stereotipati, o altri oggetti che veicolano messaggi che sono diventati politicamente scorretti. Oppure, per una sopravvenuta coscienza animalista nel proprio contesto sociale, ci si potrebbe disfare di una trappola per topi per adottare forme meno crudeli di derattizzazione.
  10. Obsolescenza legale- si verifica quando i prodotti non possono più essere utilizzati perché diventati illegali o non conformi ai requisiti legislativi. L’esempio più lampante sono le automobili, che ciclicamente vanno sostituite a causa dell’innalzamento degli standard ambientali (standard che a volte sono promossi da case produttrici che sono smaniose di vendere auto nuove).




Tra le strategie di Ecodesign non strettamente “fisico” vale la pena menzionare:

  • Timeless design: estetica classica e materiali durevoli per contrastare l’obsolescenza psicologica mantenendo rilevanza estetica nel tempo.
  • Slow design: promuove soluzioni che decelerano deliberatamente il consumo; spesso si tratta di oggetti artigianali, emotivamente avvincenti.
  • Circular design: focalizzato su riuso, riciclo, e modularità che favorisce la riparazione o la sostituzione di singoli componenti non aggiornati; affronta l’obsolescenza tecnologica ed economica.
  • Resilient design: prodotti adattabili, riparabili, aggiornabili, capaci di fronteggiare stress e cambiamenti tecnologici.

Una nuova scienza sta nascendo, ed è destinata ad affermarsi generando nuove soluzioni tecniche, artistiche, simboliche e culturali, i cui effetti di lungo termine potrebbero superare la nostra capacità di previsione. A stimolare la svolta, in questo caso, non è la necessità di conquistare ma quella di preservare. E il commercio della seconda mano, antiquato solo agli occhi più superficiali, sarà il grande protagonista del cambiamento: il vero ed ultimo destinatario delle innovazioni produttive e creative della durabilità. La sfida principale sarà mantenerlo nelle mani del “micro” senza farlo fagocitare dai giganti.

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